Il Lavoro della terra, meraviglioso dipinto ad olio su tela, che dà ragione al motto di Leonardo: «La pittura è una poesia che si vede», cornice dorata; m. 2 x 1,25. Nel volume nel quale il comm. Marco Calderini, pittore paesista apprezzato, raccolse amorosamente, nel 1901, larga copia di dati e documenti sulla vita e l'opera di Antonio Fontanesi, è fatto cenno speciale di questo quadro a pagine 120 e 121, che qui riportiamo: «... Frattanto nel grande studio del Banti il Fontanesi aveva dipinto il quadro il Lavoro della terra, del quale è cenno nella seguente lettera all'amico Bezzi: « Firenze, 24-4-67 (Piazza dell'Indipendenza, 20). « Che cosa ti succede, mio buono amico? Ti ho scritto tre volte, credo senza riscontro! Non ti parlo delle cose mie, perchè, come puoi pensarlo, con tutti questi continui cambiamenti dì ministri si è sempre allo stato quo. Il Ricasoli e il Correnti mi hanno promesso di farmi rannodare col nuovo Ministero, quindi spero ancora, magro mestiere, secondo il proverbio antichissimo... Il Correnti mi aveva detto di fare un gran quadro. Mi sono rovinato la borsa e la salute, perchè ho lavorato, si può dire, giorno e notte, ed ora? Il quadro però è certamente uno dei migliori. Sono quattro superbi buoi di color fulvo, che conducono l'aratro, facendo balzare qua e là le zolle sollevate; un bel giovanotto attento dirige l'aratro e lo rattiene negli sbalzi. Il paesaggio è quieto e severo, rischiarato da un bel sole d'autunno. Il lontano orizzonte si perde nell'infinito dell'atmosfera. A destra una siepe ed alcuni vecchi alberi dalle foglie già rosse, sotto la brezza, chiudono il quadro, ed io chiudo la lettera. Addio. «tuo FONTANESI». «Il Banfi ricorda "la robustissima intonazione di quel dipinto", che rivela coi meriti propri dell'autore la nuova forza attinta nella comunicazione coll'arte inglese contemporanea e del secolo precedente, come pure coi più eletti olandesi studiati nelle Gallerie estere. «Per fare il suo Lavoro della terra, il suo collega e concittadino Gaetano Chierici (rinomato pittore di «genere»), ricorda che andandolo talvolta a vedere lo trovava intento a modellarsi in creta i buoi e le figurine coll'aiuto degli infiniti schizzi e studi fatti sul vero». Il comm. Giovanni Camerana di Torino, magistrato e poeta di alto sentire, possessore di grande numero di deliziosi bozzetti del Fontanesi, che alla sua morte lasciò al Museo Civico di Torino, così scriveva a chi nei 1899 acquistava, a prezzo elevatissimo, il Lavoro della terra: «Torino, 1 dicembre 1899 (sera). Ill.mo e gentile signor Cavaliere, Con grande fretta - in mezzo alle occupazioni - e memore della cortesia sua - Le volgo queste linee. Bramo dirle che se per caso, adesso o più tardi, la S. V. intendesse cedere il quadro II Lavoro del mio compianto e glorioso amico Antonio Fontanesi - quadro che oggi ho veduto - Ella compirebbe opera buona pensando a me, che a qualunque sacrificio mi sentirei disposto, pur di avere questa grande gioia, la gioia cioè di dare anche quest'opera al Museo Civico di Torino, patria e luogo di insegnamento di Lui. Ed io benedirei al cuore della S. V. e con me ogni anima di vero artista. Omaggi dal suo G. CAMERANA». Nel 1901 Antonio Fradeletto insisteva presso il proprietario del quadro perchè questo facesse parte della Mostra speciale delle opere del Fontanesi a Venezia. Egli cosi scriveva: «Ci occorrerebbe almeno il Lavoro della terra, che delle sue opere è la più suggestiva e poetica, è la "più perfettamente conservata" ». Il bozzetto a carbone del Lavoro della terra apparteneva al compianto letterato comm. Giuseppe Giacosa, a Milano.